“Tutti i bambini moriranno oggi”. Queste sono le prime parole che mi vengono pronunciate in Harvest Island e da quel momento in poi mi risuonano nelle orecchie. È un’introduzione piuttosto stridente a un gioco molto stridente, che lo sviluppatore Yobob fa bene a mitigare con il tipo di avventura in stile pixel art che ci si aspetta da qualcosa come Stardew Valley.
In termini di gameplay, tuttavia, Harvest Island si avvicina di più a Potion Permit per la sua maggiore attenzione alla storia e all’esplorazione. Fin dall’inizio, si ha la possibilità di giocare in modalità storia o in modalità normale, con quest’ultima che si concentra maggiormente sugli elementi di agricoltura e artigianato. Sono molto contento di aver scelto di giocare in questo modo e di aver aggiunto un po’ di umile leggerezza all’esperienza invece di puntare alla storia pura; nonostante il suo aspetto affascinante, Harvest Island è uno dei giochi indie più inquietanti che abbia giocato da molto tempo a questa parte.
Famiglie felici
(Immagine: Yobob Games)
Innaffiare le carote è una gradita tregua dalla straziante sequenza di apertura. Harvest Island riesce a sovvertire il proprio genere e il proprio stile contro le mie aspettative, passando da un gioco sano e accogliente a un cupo horror pastorale con una deliberata rapidità.
Tutto inizia abbastanza bene. Nei panni di Will e accompagnato dalla mia fastidiosa sorellina, vengo mandato da mio padre a svolgere le faccende della fattoria. Si tratta per lo più di ciò che ci si aspetta: andare a prendere le uova, mungere mucche e capre e farne un’offerta agli dei.
Riflettori puntati sugli indie
(Immagine: Double Dagger Studios)
Quest’avventura sandbox a forma di gatto offre il parco giochi perfetto per perdersi
Proprio così: in questa fattoria dobbiamo placare gli dei per assicurarci un raccolto abbondante. Questo secondo il mio caro vecchio papà, che mi ricorda ogni giorno di prendermi cura della mia sorellina, anche se si lamenta e piagnucola alle mie calcagna mentre svolgo i miei compiti. Ma queste offerte non sono nulla di cui preoccuparsi. Non finché faccio quello che mi viene detto e non vado a ficcare il naso in cose che non mi riguardano. D’altra parte, più cose scopro, più domande ho.
“Tutti i bambini moriranno oggi”. Queste sono le prime parole che mi vengono pronunciate in Harvest Island e da quel momento in poi mi risuonano nelle orecchie. È un’introduzione piuttosto stridente a un gioco molto stridente, che lo sviluppatore Yobob fa bene a mitigare con il tipo di avventura in stile pixel art che ci si aspetta da qualcosa come Stardew Valley.
In termini di gameplay, tuttavia, Harvest Island si avvicina di più a Potion Permit per la sua maggiore attenzione alla storia e all’esplorazione. Fin dall’inizio, si ha la possibilità di giocare in modalità storia o in modalità normale, con quest’ultima che si concentra maggiormente sugli elementi di agricoltura e artigianato. Sono molto contento di aver scelto di giocare in questo modo e di aver aggiunto un po’ di umile leggerezza all’esperienza invece di puntare alla storia pura; nonostante il suo aspetto affascinante, Harvest Island è uno dei giochi indie più inquietanti che abbia giocato da molto tempo a questa parte.
Famiglie felici
(Immagine: Yobob Games)
Innaffiare le carote è una gradita tregua dalla straziante sequenza di apertura. Harvest Island riesce a sovvertire il proprio genere e il proprio stile contro le mie aspettative, passando da un gioco sano e accogliente a un cupo horror pastorale con una deliberata rapidità.
Tutto inizia abbastanza bene. Nei panni di Will e accompagnato dalla mia fastidiosa sorellina, vengo mandato da mio padre a svolgere le faccende della fattoria. Si tratta per lo più di ciò che ci si aspetta: andare a prendere le uova, mungere mucche e capre e farne un’offerta agli dei.
Riflettori puntati sugli indie
(Immagine: Double Dagger Studios)
Quest’avventura sandbox a forma di gatto offre il parco giochi perfetto per perdersi